giovedì 4 luglio 2019

La poltrona che vibra e massaggia

A casa dei miei suoceri c'è una poltrona che massaggia la schiena e vibra in prossimità delle gambe e del sedere. Ieri ci ho dormito. Sopra di me, mia figlia. 
Lo schienale viene completamente reclinato, le gambe vengono sollevate e alla fine hai quasi un vero letto. E' comoda, ci si dorme bene. Pensavo: quando l'hanno comprata certamente ancora si amavano. Lei avrà detto: "In questo angolo ci starebbe bene una poltrona che fa i massaggi" e lui probabilmente avrà risposto: "Si, mettiamola davanti alla tv, così mi massaggia mentre guardo la partita". 
E così è stato. Hanno comprato la poltrona che vibra e massaggia, l'hanno posizionata nell'angolo del salotto di fronte la televisione e l'hanno usata in tutti questi anni. Di sicuro si amavano quando l'hanno comprata. Bisogna essere innamorati per comprare una poltrona che vibra e massaggia, è una di quelle cose che vanno condivise da bravi amanti. E poi non so cosa sia successo ma ad un certo punto non si amavano più. Forse è stato quando se ne sono andati i figli.
Bisogna essere innamorati per fare dei figli, molto più che per comprare una poltroma che vibra e massaggia. L'amore che due persone provano genera quell'enorme amore che si prova per un figlio. E' strano. Da un grande amore nasce un amore molto più grande, così grande che l'amore che l'ha generato alla fine risulta quasi niente. Poi i figli crescono e se ne vanno, portandosi via tutto quell'amore. Nel migliore dei casi rimane il misero amore che in principio ha unito i due amanti. A volte non basta per mantenerli insieme, proprio come non basta un'unica poltrona che vibra e massaggia. 
Perlomeno ci si può far dormire i nipoti.

sabato 12 agosto 2017

Dov’è scritto il tuo nome


Quei cerchietti d’oro che cingono gli anulari delle persone che si amano.
Io ne ho comprato uno a luglio. C’è un motivo se le persone si sposano d’estate.
Quei cerchietti d’oro che si chiudono intorno agli anulari degli amanti.
Pesano poco se pensi che siano solo un anello.
Io ne ho ricevuto uno a luglio. D’estate con caldo e le dita che si gonfiano stanno quasi stretti. Poi viene il fresco, poi vai al Nord. Allora sembra un po’ che te li perdi, hai paura che te li perdi.
Se fosse bello stretto intorno all’anulare non lo sentiresti più, non si muoverebbe di un millimetro. Non avresti paura di perderlo. Invece quel cerchietto d’oro sta lì per un motivo. Si vuole far sentire. Per ricordarti che non sei più da sola.  Ma sei ancora libera. E ti puoi allontanare. Non stringe. Puoi muoverti come vuoi. Non sarai più sola. Non importa dove vai. Hai la responsabilità di non essere più da sola. E sarà per sempre perché tu sentirai per sempre quel cerchietto d’oro intorno al tuo anulare sinistro. Anche se un giorno non lo metterai più. O lo perderai. 
È come quegli arti che vengono amputati ma le persone li sentono ancora.
Sposarsi è non essere mai più soli e al contempo sentirsi dei mutilati.

C’è questa coppia di ottantenni. Lei ha avuto il cancro. Non sta morendo ma è in ospedale. Ha una vertebra compressa che fa male, probabilmente è una metastasi ma potrebbe anche essere per l’osteoporosi. Ha ottantadue anni e prima o poi dovrà morire di qualcosa. Comunque non sta morendo, sta benone anzi. Ma deve farsi qualche giorno di ospedale e una biopsia ossea. Non morirà per questo. 
Ma lui. Se voi vedeste lui. Mi dice che lei ultimamente dimentica le cose. Mentre lo dice so che sta sperando che io abbia nella tasca un elisir che aiuti la moglie a ricordare. Mi frugo nel camice ma niente. Vorrei proprio avercelo quell’elisir. 
Come la guarda. Io non so come potrei farvelo capire meglio. Potrei provare a descrivere come la guarda ma non riuscire a farvelo capire. Dovreste vederlo. Ogni volta che la saluta e torna a casa io non so come potrei descriverlo meglio se non come una mutilazione.
Gli amputano un arto ogni volta che la lascia lì.

domenica 14 maggio 2017

Respirare aria

Nel giorno del mio compleanno nasce un bambino di cui sono stata la prima a conoscerne l'esistenza, a parte i suoi genitori, ovviamente. 
Sono stata un bravo medico in quel caso. Essere un bravo medico: mantenere alto l'umore facendo credere a qualcuno di saperne più di lui. 
Ma che incredibile coincidenza? Tranquillizzo sua madre, che a questo punto della storia era ancora una giovane donna che insieme al suo fidanzato cercava di avere un bambino, dicendole che avere delle perdite non significa per forza avere il ciclo e nemmeno un aborto spontaneo. Le dico che può capitare anche quando si rimane incinta. Lei si rilassa, finisce la vacanza e torna a casa. Qui ha la conferma di aspettare un erede. Nove mesi dopo quel mucchietto di cromosomi ben assestati rompe le acque e si libera della placenta in anticipo sui tempi, per nascere proprio nel giorno del mio compleanno. 
Questo piccolo Hulk è un segno divino. Non si può minimizzare parlando di coincidenze. Voleva ringraziarmi. Per aver creduto in lui e averci fatto credere anche la sua futura madre. <Tutto quel che accade ha un senso>. 
Nel giorno del mio compleanno un bambino respira per la prima volta aria, un uomo ha un importante colloquio di lavoro, un altro vede finalmente a Londra il musical che ha sempre sognato,  qualcuno vince la sua prima partita di campionato, una bambina capisce che i papà non sono infallibili, un prete timbra e imbusta dei documenti accuratamente firmati, una giovane coppia diventa una famiglia, un'altra giovane coppia si impegna a diventarlo.
Tutti i giorni succedono cose straordinarie. Ma il giorno del nostro compleanno ci facciamo un po' più caso.  Il giorno del mio compleanno è iniziato con una sera prima in cui ho finito di leggere un meraviglioso libro che mi ha lasciato male. Mi ha reso triste pensare che si riesce ad essere felici solo rinunciando a qualcosa. Qualcosa che a volte è proprio tanto. Ma perdere una parte della nostra vita in alcune occasioni è quello che ci fa bene. Ci fa progredire, ci fa raggiungere traguardi e ci migliora. Penso a un uomo che rinunciando alla libertà riesce ad impegnarsi concretamente e a trovare la sua strada,  perfino l'amore, ed è felice così nonostante tutto quello che ha dovuto abbandonare. Perdere una parte per guadagnarne un'altra. E mica è facile. Mi sono sentita così anche io. Come una che ha perso qualcosa per guadagnare qualcos'altro. Penso ad una donna che ha lasciato tanto, è andata lontano e ha trovato tanto altro. Poi penso ai genitori. I nuovi genitori di questo sabato di maggio. E a quelli che stanno insieme da tanti tanti anni. Credo che ci sia qualcosa che accomuna tutte le coppie anziane, chi invecchia insieme, gli sposati da quarant'anni. Da giovani dicevano: non diventeremo come i nostri genitori. Noi non finiremo a non parlarci, a dormire in letti separati, ad avere più intimità con gli estranei che con i nostri figli. Se c'è qualcosa per cui vale la pena impegnarsi nella vita è questo opporsi al susseguirsi di malaugurati eventi che porta due innamorati di buone speranze a diventare infelici. 
Non diventeremo come i nostri genitori. E saremo disposti a perdere pur di non diventare come i nostri genitori.

domenica 11 settembre 2016

A/R

Ho pianto in una Feltrinelli, alla stazione di Milano.
Aspettavo la mia coincidenza e mi sentivo a casa. La tipica sindrome da italiano all'estero. Mi mancano queste cose. Le Feltrinelli. Mi sento sempre a casa nelle librerie.
Sul treno una ragazzina adorabile che viaggia con sua madre non fa che parlare. Prima racconta storielle che dovrebbero essere di terrore e poi attacca con l'esposizione e l'analisi di tutto Le streghe di Roald Dahl. Non prende fiato per più di un'ora. E' una ragazzina davvero carina e intelligente, adorabile sul serio, e io amo Roald Dahl. La madre è esausta, finge di ascoltarla mentre cazzeggia al cellulare. E' una ragazzina molto carina e la apprezzo, ma se sua madre è esausta, figuriamoci io che mi sono svegliata alle cinque e volevo solo dormire un po'. 
Penso a mia madre che si lamentava del mio mutismo e non ha saputo la fortuna che ha avuto. Ero una benedizione non gradita. Anche se non le ho mai parlato di quanto fosse entusiasmante Roald Dahl. Almeno le ho lasciato il tempo di leggere I fratelli Karamazov. 
La bambina parla e ancora parla. Non riesco a dormire, men che meno leggere. 
Poi mi viene in mente il wifi, così metto su le cuffie e un full album. Aurora. Una voce romana mi calma. 
Sto andando a casa.
Ora ci sono tre posti che chiamo casa. Non si dovrebbe averne mai più di due. Ma se un miocardio, pur diviso in quattro parti, riesce a restare unito e a funzionare bene, allora posso farcela anche io. 
Sto tornando a casa. Solo per un giorno. La musica va insieme al treno. Mi giro a guardare se la bambina ancora parla. La trovo abbracciata alla mamma che le sta leggendo non so che libro. Non sono stata affatto una benedizione e non vorrei una figlia come me.

A Roma è come se fossi stata sempre qui. Le mie cose, le mie strade, i posti che conosco. Sono qui. I mie cari. C'è un alone di tristezza sopra a tutto questo. Che lo copre e lo schiaccia e lo soffoca. E sono felice di stare qui, me la vorrei godere questa giornata ma mi fa tristezza. E mi fa sentire in colpa. Per chi è rimasto senza di me. La tristezza di stare lontano, perdermi quello che ho qui. Quando sono lontana sono così impegnata da non accorgemene. Ma adesso ce l'ho davanti tutto quello che è rimasto e mi fa star male. Mi manca. Mi sto perdendo tutto questo, come mia madre si è persa Roald Dahl. Ma ha avuto i Fratelli Karamazov.
Sono più di mille pagine. Quale prezzo avrà pagato Dostoevskij?

venerdì 6 maggio 2016

Scriviamoci su

Quello che più mi sorprende, se penso a me quando avevo quattro anni, è quanto fossi intelligente.
Ero intelligente ed ero una bambina. Non bisognerebbe essere bambini intelligenti e adulti stupidi. Non che io sia stupida ma, pur comprendendo i meccanismi, le ragioni e le cause, non riesco a cambiare ciò che non mi piace. 
Ho studiato medicina perché ero davvero ipocondriaca e ho pensato che se avessi saputo tutto delle malattie, di come quando e perché accadono, allora non ne avrei avuto più paura. La conoscenza rende liberi, dice Einstein. No, la verità vi farà liberi, risponde Gesù. Ok, non litigate, dico io. Tanto sbagliate entrambi. La conoscenza e la verità non mi hanno fatto sentire meglio. Sapere cosa succede, il perché delle cose e delle azioni, non mi ha liberato. Sono un po' meno ipocondriaca, è vero. Si, sono migliorata in molte cose. Ma non sono ancora libera da quella sensazione dolorosa di quando a quattro anni mi sono sentita così sola che ho pensato che il mondo che conoscevo fino a quel momento si sarebbe disintegrato e niente sarebbe stato più lo stesso. Non ricordo esattamente cosa ho pensato in quel momento. Ero spaventata e angosciata e piangevo ma a nessuno importava, nessuno se ne curava. Forse ho pensato che non sarei sopravvissuta. Quel dolore avrebbe fatto collassare il mondo e ci avrebbe risucchiato. Poi qualcuno mi ha preso e portato via. E nemmeno se sono accorti che non c'ero più. Mi ha detto che sarebbe andato tutto bene e si sarebbero sistemate le cose. Ma io ero intelligente e sapevo che non era così, non poteva averne la certezza. Capii che era mia responsabilità sopravvivere al dolore e non far disintegrare il mondo. Spettava a me tenere insieme i pezzi. Sapevo che i due adulti che facevano parte del mio mondo non sarebbero stati capaci di farlo. Si erano dimostrati entrambi meno intelligenti di me. Erano troppo giovani per farcela senza il mio aiuto. Quindi dovevo sopravvivere e farli sopravvivere. In questi casi si trovano dei meccanismi di difesa che poi negli anni si rivelano uno schifo totale. Il problema allora diventa come eliminare questi meccanismi di difesa che ci incasinano, ci rendono stupidi e infelici e non liberi.
Ho iniziato a scrivere un diario a otto anni. La maestra delle elementari lo aveva dato come compito. Ho scritto diari su diari. Diari segretissimi e personali. Diari in cui annotavo solo quello che facevo, poche righe per ricordarmi che film avevo visto al cinema o come avevo passato le vacanze. Diari in cui scrivevo tantissimo, poi smettevo per pagine e pagine e magari a un certo punto riprendevo a scrivere. A volte scrivo qui perché ne sento il bisogno. Mi sento meglio quando scrivo. Mi sento meglio dopo aver scritto. Questo non è un meccanismo di difesa. I meccanismi di difesa fanno parte di come sono diventata e di quello che vorrei cambiare. Si attivano quando mi sento come a quattro anni, con quella sensazione insopportabile che deve andare via. Una disperazione senza causa apparente. E anche se so perché accade e anche se so la verità, non basta per sentirmi meglio e per superarlo. Poi succede questa cosa che forse è un meccanismo di difesa, non so. Succede che non mi piace la solitudine ma poi scelgo di stare sola, e non esco, rimango a casa, non telefono, mi comporto in modo da allontanare le persone. Sembra un controsenso. Sembra dire: è stata dura a quattro anni, so che non vuoi rivivere una cosa del genere ma ce la puoi fare. Se risuccede ce la farai.
Come si fa a liberarsi di qualcosa che ci ha fatto sopravvivere a quattro anni ma che ora non va bene? Credo comunque di aver fatto un buon lavoro con me stessa e di non essere male come adulta. Non so che senso abbia scrivere di questo adesso. Non so che senso abbia pensare che in fondo non sono male come adulta e chissà invece come sarei diventata se solo fossi stata una bambina meno intelligente. Tra pochi giorni è il mio compleanno. Dovrei essere orgogliosa dell'adulta che sono quanto sono orgogliosa della bambina che sono stata. Il mondo non si è disintegrato, la mia famiglia non è esplosa, tra una settimana compirò trentasei anni e non va così male.