martedì 27 novembre 2012

Cognizione senza azione

A volte mi basta un attimo per capire che una cosa è quella giusta da fare.
Ma non la faccio. Aspetto. Il mio tempo di reazione lascia molto a desiderare, è decisamente troppo lungo.. eterno se paragonato al mio tempo di cognizione.
Sono una persona intuitiva: so bene qual è la cosa migliore da fare ma non riesco a farla. Così aspetto non so nemmeno io bene cosa. Forse che la vita faccia il suo corso o, più verosimilmente, che un panda di 138 chili mi piova in testa togliendomi dall'impaccio di dover agire e per sempre. E' andata così tante volte. Non che un panda mi piovesse in testa, ovvio, altrimenti a quest'ora sarei già polvere, per chi è ateo, o nel purgatorio dei procrastinatori, per chi crede nell'esistenza di Dante Alighieri.
Ognuno ha i suoi tempi, le sue paure, le sue distrazioni.
Ogni tanto però succede che alcune delle cose che ho capito quando avevo ancora le ginocchia sbucciate e i codini riesco a farle davvero.
Così due mesi fa ho lasciato casa dei miei e sono andata a convivere. I miei spazi, i miei orari, le mie cose e cucinare, pulire, stirare, pagare le bollette. Tutto stupendo.
Ho scoperto che faccio una carbonara <che levate!> e che i panni sull'asse da stiro sono fastidiosi e soggetti a crescita esponenziale, nemmeno li bagnassi o nutrissi dopo mezzanotte.
Mi sento meglio, nonostante la carenza di liquidi: no, non sto parlando di disidratazione ma di uno degli altri problemi che devo risolvere e a cui sto lavorando, ironia della sorte, senza retribuzione. Nel frattempo il rapporto con i miei genitori è apparentemente migliorato. Vedersi meno fa bene, abbiamo poche occasioni di litigare e di fare domande. Sono più tranquilli, sentono la mia mancanza e stanno già pensando ad usi alternativi per la mia camera. Va meglio per tutti a quanto pare. Ma l'importante non è quello.
E' iniziare a fare ed affrontare le cose che ho capito mesi, anni, decenni fa!
Mi chiedo quante altre ancora siano le cose che ho capito e lasciato lì a prendere polvere. Quando deciderò di prenderle in mano e spolverarle? Non lo so proprio, potrebbe prima piovermi in testa un panda di 138 chili.

sabato 15 settembre 2012

Al fegato non si comanda

Torni dalle vacanze e capisci che non sei fatta per l'Italia. Ma il tuo fegato non è fatto per gli Stati Uniti. Se non avessi fegato partiresti domani ma hai fegato e resti. Per non parlare delle tue arterie. La Scozia forse sarebbe meglio. Ma lì è bel tempo quando piove appena appena. E l'umidità rende i tuoi capelli uno schifo. La Spagna è troppo caciarona, il Portogallo un tantino malinconico, la Svizzera così pulita..
Una settimana fa mia cugina è partita per l'Australia. Diciotto anni, appena diplomata, capelli verdi e viso da bambina. Con tre amici è partita per stare solo un anno, lavorare un po', imparare la lingua, visitare il continente.. insomma, fare un'esperienza. Almeno così dice lei. Però chi può saperlo.. potrebbe sposarsi con un allevatore di canguri, essere sbranata da un koala o addirittura potrebbe trovare il lavoro dei suoi sogni e vivere una vita rilassata e appagante.
L'ho salutata con la paura di non vederla più e con l'invidia di chi vorrebbe ma non ci riesce. Che cavolo stavo facendo a diciotto anni? perché non l'ho fatto anche io? E' una domanda che non ha senso. Piuttosto: che cavolo sto facendo ora? perché non lo faccio anche io? Ah, giusto.. il fegato! I miei organi interni complottano contro di me.
Devono aver parlato con mia madre.

Tutto questo mi ha fatto ricordare un incubo che ho fatto tempo fa.
In realtà non c'entra niente con mia cugina che va in Australia. E' un incubo che risale a circa un anno fa, il periodo dopo l'abilitazione, quando i miei ancora speravano che facessi il dottore. Mi aveva talmente sconvolto che me lo sono scritto.
C'è stato un periodo, più o meno fino a prima del liceo, in cui facevo molti incubi, anche ricorrenti. Ma uno così non l'avevo mai fatto.
Sono sola a casa ed è buio. Quel buio tipico dei brutti sogni: blu inchiostro con chiazze di nero. Vado al computer ed ho paura, non ricordo il perché. Dal nulla arriva mio fratello minore e mi dice di non preoccuparmi e che devo mangiare: i miei mi hanno lasciato delle cose da scaldare. Lui allora va in cucina e mette delle padelle sul fuoco. Io lo seguo ma rimango nel corridoio. Sento il rumore del gas che viene acceso e quello delle pentole poggiate sui fornelli ma ho ancora tanta paura. Vedo delle ombre in casa, corro allo spioncino, vedo delle ombre anche lì fuori, sul pianerottolo, e sono terrorizzata.. sento dei passi dietro di me, sono di mio fratello. Si avvicina ma è così buio, non lo vedo nemmeno, rimango davanti alla porta. Poi, quando lui si ferma accanto a me, allungo la mano lì dove il buonsenso mi dice che starà la sua. Mentre gli tengo la manina accendo finalmente la luce e mi giro a guardarlo, ma lui non è più un bambino! sembra un pupazzo con la testa tonda e gli occhi fissi ed ha una lacrima che gli scende lungo la guancia. Angosciata corro in cucina ma lì esplode tutto.. sul gas erano stati messi dei piatti e altre cose di vetro.. c'è del fuoco un po' dappertutto ma la situazione ma non è grave. Ed è in quel momento che realizzo che io non ho un fratello. Sono figlia unica da una vita! Chi l'ha fatto quel casino, io forse? Penso di essere matta, di aver avuto delle visioni.. è tutto così reale, anche la sensazione di essere diventata pazza. Corro di nuovo a guardare nello spioncino e ci vedo me stessa, tante me, come se lo spioncino fosse un caleidoscopio. Tutte me col cappotto color carta da zucchero e i capelli più lunghi, legati a coda come durante l'inverno precedente. Me tutte uguali. Ma non è possibile! Io sono dentro casa, chi sono quelle lì fuori uguali a me? col mio cappotto per giunta.. Poco a poco svaniscono ed io mi allontano dalla porta mentre appare un'ombra altissima e minacciosa che blocca ogni via d'uscita. Una sorta di mostro cattivo e nebuloso che mi insegue famelico. Scappo, provo a raggiungere il telefono per chiamare i miei ma non ci riesco, l'ombra è sempre dietro di me: è una specie di zombie! Riesco ad arrivare alla porta di casa, esco sul pianerottolo ed urlo, urlo più che posso, chiedo aiuto anche alla vicina, suono disperata al suo campanello, ma il palazzo è deserto.. ci siamo soltanto io e lo zombie-ombra, che ora mi sta davanti. Lo vedo in faccia: sorride in modo subdolo. Con un balzo è su di me..
Mi sono svegliata e non saprò mai se mi ha morso e trasformato in zombie. Mi piacerebbe sapere però cosa può significare tutto questo. Paura di crescere? Paura di stare sola? Paura di lasciare il gas acceso?
Una di queste notti spero di sognare il signor Freud. Un sogno tranquillo: io, un divano e quel simpatico ometto con la barbetta bianca, gli occhialetti tondi e il sigaro. Lui mi parlerà dei miei meccanismi di difesa, primo tra tutti quello della rimozione, mentre io gli dirò di spegnere quel dannato sigaro, che soffro d'asma.

venerdì 3 agosto 2012

Partenze

Le partenze mi mettono sempre una certa agitazione.
Sarà per il viaggio, lungo, in aereo. Sarà che non so come sarà una volta arrivati. Sarà per via della compagnia. Non che sia una cattiva compagnia, anzi, però la definirei.. anomala. Sarà anche colpa della lingua. So farmi capire ma non capisco quasi nulla di quello che dicono loro. Poco male. Mentre annuirò con il sorriso ebete di chi non sta capendo una parola ma non ha il coraggio di dirlo (è che non so come dirlo e comunque ormai è già troppo che annuisco e non sta bene interrompere proprio ora.. anche perché questo non fa nemmeno una pausa tra una frase e l'altra, oddio come ne esco.. mi ha  forse fatto una domanda? qualcuno mi aiutiiii) potrò pensare ad altro.
I cambiamenti mi generano sempre una certa ansia. Comincia qualche giorno prima. Deglutire diventa difficoltoso e ho la sensazione di strozzarmi ogni volta che mangio. Allo stesso tempo sono invero un pò emozionatina! So che l'ansia mi passerà appena toccata terra. No, forse poco dopo, una volta ritirato il bagaglio. Ammesso che arrivi tutto intero. Una volta appurato che l'appartamento che abbiamo prenotato non ha le pareti di cartone e la porta disegnata, allora sì che mi passerà l'ansia! E' sempre così prima di partire..
ah le vacanze! da quando non sono più una studentessa hanno tutto un altro sapore.

sabato 28 luglio 2012

Il mare e la neve

Giovedì sono andata al mare. Il mio primo giorno di mare dell'estate!
Costume, ombrellone, occhiali da sole e crema protezione totale. Avevo portato tutto: anche l'audacia necessaria per esibire un bel corpo, bianco da far spavento.
L'acqua era gelida e calma, pulita oltre le mie aspettative. Ho fatto un castello di sabbia con secchiello e mani nude, inginocchiata sul bagnasciuga. Una di quelle cose che a 32 anni puoi fare solo se ti porti da casa un bambino. Io mi ero portata la mia cuginetta di 6 anni, l'alibi perfetto per divertirsi con la sabbia e non sembrare ridicola.
Non è per questo che si fanno figli o si sopportano quelli degli altri?
Avevo le unghie e il costume pieni di granellini fastidiosi ma ne è valsa la pena. Erano anni che non giocavo con la sabbia. Peccato non aver avuto una paletta, avrei volentieri fatto una buca. Da piccola adoravo fare le buche. Ogni volta che mi portavano al mare facevo una bella buca, profonda ed ampia, scavata con gran fatica a pochi metri dalla riva. La sabbia inizialmente era asciutta ma a forza di scavare alla fine trovavo l'acqua e allora diventava morbida e bagnata. Potevo entrare dentro la buca e restare lì, sporgendo solo dalle spalle in su, a sentire la sabbia fredda e umida.
Da piccola mi piaceva scavare in profondità, fino a trovare l'acqua. Da adulta costruisco castelli con mura, torri e un fossato tutto intorno. Deve esserci una certa simbologia in tutto ciò ma preferisco pensare che sia solo dovuto ad una contingente mancanza di paletta.

Per anni ho avuto un vicino di casa russo. Aveva un pizzetto rado e portava i capelli con la riga da una parte, tutti tirati indietro e che sembravano sempre bagnati per via del gel. Stirava sempre in mutande, a torso nudo e con i capelli perfettamente in ordine.
Si chiamava Vassily in onore di Kandinsky. I suoi genitori si erano conosciuti ad una retrospettiva del suddetto pittore e avevano discusso per ore sul significato dell'opera "Composizione VIII" per poi concludere, sul sedile posteriore di una Moskvich 408 rossa fiammante, che erano solo un insieme di colori e forme messe lì per esasperare e incuriosire. Classico caso di infatuazione da arte astratta. Vassily nacque nove mesi dopo.
Sua madre non era sicura che fosse merito della retrospettiva di Kandinsky. Anche la passeggiata nel parco, qualche sera dopo, era stata piacevole. Per non parlare dell'appassionante "Tre sorelle" che avevano visto a teatro la settimana successiva.
Suo padre non era sicuro che fosse colpa della Moskvich, così terribilmente comoda, della panchina del parco, abbastanza comoda, o della poltroncina del teatro, scomoda. Non era nemmeno sicuro di voler intraprendere la carriera di genitore. Gli sembrava prematuro, visto che anche la sua attività di intagliatore faticava a decollare, ma si convinse dopo aver ammirato la scintillante collezione di semiautomatiche del futuro suocero. Si sposarono a maggio, con l'arrivo del bambino e del clima mite. In estate, che a Mosca si distingue dalle altre stagioni per l'assenza di neve, il loro matrimonio cominciava già a dare i primi segni di cedimento. Vassily tentava di far cessare i litigi emettendo dei timidi "nghè", con scarso successo. Tre anni, cinque mesi, ventuno giorni e un centinaio di cocci dopo, i genitori del piccolo si separarono: il padre tornò a cercar fortuna nel suo paese natale, a pochi chilometri da Mosca; la madre tornò a vivere dai suoi. Vassily andò con sua madre. Il nonno dovette disfarsi della sua collezione di rivoltelle ma ne fu felice. Anche perché, in realtà, le spostò soltanto in cantina: di tanto in tanto, senza essere visto, scendeva a lucidarle, ad accarezzarne il calcio e far girare il tamburo.
Vassily rivide per la prima volta il padre a 14 anni, quando era già un ragazzo alto e magro, con i capelli mossi che scendevano sugli occhi ed incorniciavano il viso dai lineamenti così delicati. Ora il padre aveva qualcosa di più da offrirgli che un semplice legame di sangue. Aveva aperto una falegnameria insieme ad un suo vecchio compagno di scuola e gli affari andavano bene. Si presentò all'incontro in apprensivo anticipo. Indossava un completo blu dai bottoni dorati, una sciarpa color zafferano intorno al collo e in mano dei regali, tra cui una targa in leccio su cui aveva intagliato il nome del figlio. La madre pianse e pensò di aver fatto la cosa giusta permettendo quell'incontro. A Vassily fu subito simpatico.

giovedì 28 giugno 2012

Scimmie e veri scrittori

Dovrei procurarmi una scimmia. Non è così facile procurarsi una scimmia, qui a Roma.
E poi a me piacciono di più i gatti. Del resto sono contraria a separare qualsiasi animale dal proprio habitat naturale. Però, se abitassi in una foresta, in Africa o in Madagascar oppure se vivessi a Gibilterra.. se potessi mi procurerei una scimmia! Secondo il teorema delle scimmie infinite (o dattilografe): "Se un esercito di scimmie battesse per un tempo sufficiente sui tasti di una macchina da scrivere, produrrebbe prima o poi tutti i libri del British Museum". Altri enunciano il teorema in maniera diversa: "Una scimmia che prema a caso i tasti di una tastiera per un tempo infinitamente lungo quasi certamente riuscirà a comporre qualsiasi testo prefissato". Io lo trovo affascinante! Non importa se per alcuni è necessario un esercito di scimmie o per altri ne basta una sola. Avere una scimmia da compagnia in questo momento sarebbe una bellezza. Se una scimmia in un tempo infinito può riprodurre qualsiasi libro conosciuto, magari può anche scrivere un testo inedito. E in meno tempo! Ci sono sempre tante cose da scrivere e così poco tempo. Per non parlare delle mail varie che mando o dovrei mandare ogni giorno, oppure delle scartoffie da compilare. Se avessi una scimmia tutta mia avrei risolto parte dei mie problemi. Una simpatica scimmietta che battendo i tasti a caso crea capolavori, se è una scimmietta abbastanza istruita. Altrimenti crea romanzetti di serie B che comunque c'è sempre qualcuno che li apprezza. Anzi, i romanzetti forse sono anche più apprezzati perché sono facili da leggere. E le statistiche parlano chiaro: nel mondo la percentuale di ignoranti cresce in maniera inversamente proporzionale rispetto a quella degli scrittori degni di questo nome. Gli scrittori, quelli veri, erano uomini normali, poi sono stati morsi da un libro radioattivo e sono diventati dei supereroi.
E di certo non hanno scimmie da compagnia.

Al liceo mi sono innamorata di uno scrittore. Un amore platonico. Cartaceo.
Adoravo (e odoravo) i suoi libri e mi facevano impazzire i suoi denti leggermente imperfetti, le borse sotto gli occhi e quel suo modo di parlare e gesticolare. Aveva vent'anni più di me. E ce li ha ancora, ovviamente, ma adesso non rischierebbe il carcere! In preda ad ormoni adolescenziali scrissi e gli inviai delle poesie d'amore. Avevo trovato su un giornale una sorta di indirizzo che faceva riferimento a lui. Credo fosse l'indirizzo della sua casa editrice o qualcosa del genere. Per un mese inviai una lettera a settimana. Regolarmente anonima! Ognuna contenente una melensa poesia d'amore. Ogni tanto ci ripenso.. Secondo me non le ha mai ricevute. Spero vivamente che non le abbia mai ricevute. Ho cancellato tutte le mie impronte, sia dalla carta che dalla busta, non risaliranno mai a me! E' una cosa talmente stupida! Ed erano delle poesie ridicole! Divento rossa per la vergogna solo al pensiero.. Di sicuro chi le ha lette si è fatto un sacco di risate. Risate che hanno riecheggiato per tutto l'ufficio, palazzo, quartiere in questione. Poi, con una puntina, l'allegro visionatore della corrispondenza ha attaccato le mie poesie alla bacheca dell'ufficio, per permettere a tutti, leggendole, di potersi sganasciare. Sono rimaste lì per un bel pò di tempo, per anni probabilmente. Chiunque fosse triste, depresso o stressato passava alla bacheca, leggeva una delle mie poesie ed iniziava a ridere con le lacrime agli occhi. Con gli anni la carta è ingiallita, la mia calligrafia è diventata sempre meno nitida e alla fine le mie lettere sono state coperte dalla spassosa corrispondenza di qualcun altro.
Se fosse andata così non sarebbe poi male. Sarebbero servite a qualcosa.

venerdì 15 giugno 2012

La leggerezza del meteorite

Si, mi sento più leggera.
In queste settimane stare a casa è stato rilassante quanto tuffarsi in una vasca infestata da piranha in preda a fame chimica. Però mi sento meglio. Ho scoperto che per trovare lavoro avere una laurea in medicina serve quanto una bella messa in piega. A meno che non si voglia fare il medico, ovviamente. In quel caso una bella messa in piega è necessaria. Pazienza, sono tranquilla. Ho sempre pensato che nella vita qualcosa avrei fatto, un lavoro lo avrei trovato. Non sono spaventata. Ovvio! Non ho idea di cosa significhi pagare l'affitto, pagare le bollette, fare la spesa. Almeno per ora. La mia totale mancanza di concretezza potrebbe anche essere un bene. Si, ma solo per ora. Dovrei anche capire come valutare questo "ora". E' un avverbio di tempo che ho sempre sottovalutato. Come se il futuro o il passato fossero più importanti, come se non fossero solo un insieme di ora. Lo sapevo che mi sarei dovuta impegnare di più nel costruire quella macchina del tempo. Mi sono limitata a farci un tema con tanto di disegno in quarta elementare. Un'altra delle cose che ho lasciato in sospeso, un altro progetto rimasto sulla carta. Peccato, sarei potuta tornare indietro nel tempo e rendere ora diverso da ora! Farò a meno anche di questo. Sono ingenuamente ottimista. Ottimista e insicura, pessima accoppiata. Penso che qualcosa nella vita farò, qualcosa che mi piaccia intendo, ma ancora non so cosa sia. Mi sembra di essere brava solo in cose con cui è difficile camparci. Si, lo so che oggigiorno è difficile campare con qualsiasi lavoro. Colpa dell'euro signora mia e del buco dell'ozono.
Ma soprattutto colpa mia. E delle infinite possibilità che mi paralizzano.

Paura del fallimento. Ti so affrontare se non si tratta della vita vera. La vita vera mi frega sempre. E' la mia nemesi. Se non sono un supereroe è colpa della vita vera. E' accaduto nel novembre del 2003. Ero a San Francisco e sono andata a visitare l'Exploratorium, ovvero il museo della scienza. In una delle sue  numerose sale mi sono trovata davanti un gigantesco meteorite, uno di quelli caduti sulla Terra in non so che anno e luogo. Il meteorite mi ha attirato a sè con forza, ipnotizzandomi come una sirena. Sentivo nella mente il suo richiamo e non potevo far nulla per contrastarlo. Ho provato a resistergli ma ogni mio sforzo è stato vano. I meteoriti sanno il fatto loro. Dovevo toccarlo, dovevo! Sebbene il cartello lo vietasse, dovevo toccarlo. Del resto il cartello me lo vietava in inglese e a quel tempo il mio inglese era perfino peggiore di adesso. Dovevo toccarlo nonostante il divieto, nonostante la piccola transenna che lo circondava e nonostante l'attenta sorveglianza del personale di sala! Ero troppo curiosa ed attratta dal fascino oscuro di quell'ammasso di roccia, metalli ed essenza ipergalattica. Così, sperando di non essere vista, ho iniziato ad avvicinare l'indice della mano destra al meteorite, come in trance, e proprio quando stavo per toccarlo, a pochi millimetri dal contatto, un lampo azzurrognolo partito da quel gigante stellare ha raggiunto il mio dito e da lì ha attraversato tutto il mio corpo. Ho preso la scossa dal meteorite! Una scossa extraterrestre! Elettrizzante.
Potrebbe essere un ottimo inizio per un fumetto o libro sui supereroi. Solo che la scossa la renderei molto più eclatante, con la protagonista che viene pervasa da una corrente di energia e si solleva inerme da terra circondata dal una luce azzurro-argentata che illumina tutta la stanza. Ovviamente in quel momento la stanza del meteorite è deserta e nessuno vede ciò che sta accadendo. Quando la protagonista tocca finalmente terra i suoi vestiti sono a brandelli mentre lei è ancora carica di elettricità e dal suo corpo si propagano dei piccoli lampi di energia. E' nata una nuova supereroina.
Nel mio caso non è successo. Colpa della vita vera, appunto. Ho sperato per giorni che quella scarica e quel nostro contatto mi avesse fatto acquisire dei superpoteri, ma così non è stato. A me non è cambiato nulla. A quanto raccontano, però, il meteorite da allora è diventato molto insicuro e parecchio ottimista.


lunedì 28 maggio 2012

Respira!

Ho detto ai miei che non voglio fare la specializzazione, che non ci provo nemmeno.
Poi ho ricominciato a respirare. Era arrivato il momento di dirglielo, la domanda d'iscrizione scade tra due giorni! In realtà me lo hanno chiesto loro, quindi tecnicamente non gliel'ho detto, ho solo risposto ad una domanda diretta. Immagino che sia difficile fare i genitori. Non c'è nemmeno bisogno di essere genitori per capire quanto sia difficile fare i genitori. Però se dici ai tuoi che non vuoi fare il medico e loro ti rispondono che finirai a chiedere le elemosina e che devi solo augurarti di non essere lasciata dal tuo ragazzo, forse qualche colpa ce l'hai anche tu, come figlia. Mi sarei dovuta imporre alla fine del liceo, quando volevo prendere lettere o fare un corso di  restauro. E invece niente, non ho mai attraversato quella fase di ribellione adolescenziale che di solito è utile per la propria futura sanità mentale. Mai fumato nei bagni di scuola, mai scappata di casa, mai andata in discoteca, mai avuto i capelli verdi, mai invitato ragazzi quando ero sola in casa, mai contraddetto mio padre. L'unica forma di ribellione che ho messo in atto da adolescente è stato leggere di nascosto! Mio padre mi diceva sempre di leggere di più, ed io per ripicca non lo facevo, per lo meno non davanti a lui. Leggevo di nascosto, la notte, nel mio letto. Che spavalda eh! Se avessi dimostrato un po' di carattere e determinazione quando potevo probabilmente adesso non starei qui a sentire i miei che discutono, si incolpano, si disperano, cercano di capire dove hanno sbagliato, si chiedono perché proprio a loro è capitata una vergogna del genere e così via..
Per fortuna non siamo una famiglia giapponese e non collezioniamo katane!
Non c'è bisogno di essere figli per capire che davanti alla loro reazione ci sarei potuta rimanere male. Il mio corpo però ha reagito ridendo. E' tutto troppo surreale. Non posso che ridere come un'idiota. Da una parte mi sento sollevata, perché ora lo sanno e anche perché capisco da dove deriva la mia insicurezza. Non è così strano se sono insicura indecisa e ansiosa: i miei genitori sono convinti che io non possa fare nulla nella vita e che ormai fare il medico sia l'unico modo che ho per guadagnarmi da vivere. Fare il medico o sposare uno che mi mantenga, perché per il resto non ho speranze. Ah si, ci sarebbe anche chiedere le elemosina e dormire sotto i ponti, che magari può avere anche i suoi vantaggi, come non dovermi più preoccupare di fare la ceretta.
Non posso che sorridere! E non è uno di quei casi in cui rido per non piangere. Sorrido davvero. E l'unica cosa che vorrei dirgli ora è: <Fanculo!>
Ma non lo farò, del resto non ho mai attraversato la fase di ribellione adolescenziale.

venerdì 25 maggio 2012

Troppi pensieri per una sola MEnte

Oggi i miei pensieri devono prendere il numeretto.

La scena inizia al buio. Una luce pian piano illumina un palcoscenico molto spoglio. Le pareti sono nere, così come il pavimento. Sulla parete destra c'è una porta bianca, consumata e dall'aspetto malandato. Sulla parete centrale, invece, c'è un altoparlante grigio, unico arredo della stanza.
Una voce metallica esce dall'altoparlante:

Mente: <Serviamo il numero uno >

Si apre la porta ed entra Pensiero A

Pensiero A: <Eccomi.. sono io il numero uno! Vorrei sapere...>

Entra Pensiero B interrompendo Pensiero A

Pensiero B: <Un momento, c'ero prima io! lei di sicuro ha il numero due perché l'uno ce l'ho io!>

Pensiero A (indispettito): < E no mio caro, anche io ho il numero uno!>

Si avvicinano per guardare l'uno il biglietto dell'altro. Nel frattempo entra correndo Pensiero c

Pensiero C (trafelato) : <Scusate hanno già chiamato il numero uno?>

Pensiero A e B: <Anche lei ha il numero uno??>

Pensiero C annuisce sorpreso

Pensiero A: <E' ovvio, signori, che ci troviamo di fronte ad un errore non dipendente da noi. Senza dubbio la macchinetta che eroga i numeri ha subito un guasto>

Pensiero C: <Per caso abbiamo tutti lo stesso numero?>

Pensiero A e B annuiscono

Pensiero C: <Una bella seccatura..>

Pensiero B: <Suvvia, non mi sembra il caso di farne un dramma! Mi pare di vedere che qui siamo tutti pensieri civili. Non sarà difficile trovare un accordo>

Pensiero A (con sufficienza): <Per me posso garantire di essere un gentiluomo>

Pensiero C (freddamente): <Anche io posso garantirlo riguardo me stesso>

Pensiero B: <Bene allora, se non vi dispiace, andrò prima io!>

Pensiero A: <Un momento.. sono io ad essere entrato qui per primo, non vedo perché debba essere lei...>

Pensiero B: <Io sono decisamente più importante di voi. Ed ho anche preso in mano la situazione, dimostrando tutta la mia risolutezza>

Pensiero C: <Questo non dimostra nulla. Io sono il più urgente. Sono addirittura venuto di corsa!>

Pensiero A (visibilmente alterato): <Ma non siate ridicoli! Io sono qui da tempo immemore. Ero qui da molto prima di voi. Ero qui quando voi non eravate ancora stati pensati. Ma che dico, pensati! Non eravate stati neanche lontanamente immaginati!>

Pensiero C: <Signori.. Non possiamo risolvere la questione civilmente?>

Pensiero B: <E come? pensa di poter decidere lei per tutti e tre?>

Pensiero C: <Non ho certo detto io, non meno di due minuti fa, (schernendolo) "Se non vi dispiace andrò io!">

Pensiero B: <Ah.. ora si prende anche gioco di me..>

Pensiero A: <Non per difendere nessuno, ma ha iniziato lei!>

Pensiero C: <Mi so difendere da solo, e comunque non aspetterò voi due solo perché sono arrivato per terzo. Anch'io ho un biglietto numero uno!>

I tre iniziano a parlottare animatamente. Fanno un gran baccano. I loro discorsi sono confusi, si riescono a capire chiaramente soltanto poche frasi e parole qua e là.
La voce dall'altoparlante li interrompe e riesce ad azzittirli.

Mente: <Signori Pensieri! Per favore, mantenete la calma! (amareggiato) Volevamo rispondere ad ognuno di voi, dedicarvi il tempo che meritavate.. e voi vi azzuffate per chi deve essere il primo! Non siete riusciti nemmeno a mettervi d'accordo su chi fosse il più urgente tra voi. Se avete ricevuto un numero uno è perché siete tutti e tre ugualmente importanti per noi. Ci aspettavamo una certa collaborazione ed altruismo da parte vostra.

I Pensieri ascoltano immobili, spaventati e con aria colpevole

Mente (severo): > Come possiamo rispondere ai vostri interrogativi se vi sovrapponete in questo modo? Non abbiamo capito nulla! Non possiamo riflettere in queste condizioni! Basta! Siamo costretti a rimandarvi a domani! E domani, cercate di avere le idee più chiare, altrimenti saremo costretti a rimandarvi ancora ed ancora ed ancora..>

La luce si attenua sempre di più fino ad avere il buio, poi si chiude il sipario. Fine.


Scrivere non fa stare meglio. Però mi piace. Dà quel benessere effimero, che dura giusto il tempo di un post. Lo stesso effetto che fa mangiare del cioccolato. Fondente.

lunedì 14 maggio 2012

In un'altra città

E' una bella giornata, calda, quasi estiva.
Sono sola in una città che non conosco e cammino. Non so bene se sia la strada giusta. Mi fermo, chiedo a qualcuno e continuo a camminare. Ho gli angoli della bocca all'insù. Vado in giro a testa alta e sembro più dritta. Posso essere chiunque o posso addirittura essere me stessa. E' piacevole. Mi piace talmente tanto che mi devo fermare. Così mi siedo su dei gradini sotto ad arco, in una piazza piena di gente. Non passano macchine, ci sono dei bambini che giocano a palla e si sente solo il rumore della gente che cammina, parla o fa l'aperitivo all'aperto, in locali poco distanti. Vorrei fare una foto ma non ho con me la macchina fotografica. Credevo fosse una città inospitale, per non dire brutta. Ma oggi sembra così bella! Sarà un miracolo primaverile, o forse è colpa del caldo soffocante che dà alla testa e provoca euforia non giustificata. Potrebbe anche essere stato il cono cioccolato fondente e limone preso qualche ora prima. Era davvero buono anche se l'ho pagato quanto 2 litri di super! 2 euro e 50 per due soli gusti e niente panna, perché se vuoi la panna la devi pagare a parte, altri 50 centesimi, ma lo devi sapere prima.
Io lo sapevo perché avevo già fatto l'anno scorso l'errore di chiedere la panna ad una ragazza che mi stava facendo il gelato e quella è diventata una furia, ha ribaltato il bancone facendo volare il gelato ovunque, poi si è messa a spezzare coni, a ringhiare e ad urlare "la panna è a parteeee" soffiando fuoco dalle narici e lanciando coppette e cucchiaini. Da allora ci vado piano con la panna in questa città!
Giusto.. parlavo della città. Si, è diversa oggi. Non so come mai, ma mi piace. Me ne sto seduta e mi guardo intorno. C'è una bella luce e un'aria accogliente, forse comincio a starle simpatica anche io. Vorrei fare una foto per immortalare il momento. Poi penso che non ho bisogno della macchina fotografica: posso chiudere gli occhi e fissare la scena. Fare una sorta di istantanea mentale. Fissare il ricordo chiudendo gli occhi, come se chiudere gli occhi equivalesse a fare click. Bella idea, mi dico. Se chiudo gli occhi e faccio Click sarà come fare una foto, la scena resterà impressa nella mia mente per sempre. Sorrido, guardo bene davanti a me, noto i particolari, i colori, la luce, le persone poi chiudo gli occhi. SBAM! Una pallonata in piena faccia.

lunedì 30 aprile 2012

Domande e storie

Sabato sera sono andata a ballare rock'n'roll ad un vintage party.
C'era la band che suonava e noi ballavamo sotto il palco, tutti vestiti e truccati anni '50.
Mi sentivo come nel dopoguerra, con la voglia di ricominciare e la morte nel cuore.
E' stato un venerdì particolare.
La prima domanda del venerdì sera è stata: "ma tu non hai voglia di lasciare un segno del tuo passaggio sulla Terra?" La prima risposta del venerdì sera non c'è stata.
Ma sabato si ballava, leggeri e sorridenti, come se la vita fosse tutta lì, in quel locale pieno di sconosciuti che come te cercano una panacea per il loro animo lacerato. (vabbè, animo lacerato.. credo che pensare alle curve delle pin up mi faccia esagerare!).
La seconda domanda del venerdì sera è stata: "perché non cerchi di affrontare i tuoi irrisolti interiori?" La seconda risposta del venerdì sera non c'è stata.
Ammetterete che era una domanda difficile.
Sabato sera avevo una gonna nera a pois bianchi, a ruota, con un fiocchetto in vita, scarpe perfettamente in  tema e rossetto rosso. Ero davvero così anni '50! Ma questo non deve farmi dimenticare di venerdì sera. Ci devo pensare, devo ricordare, capire, rispondere.
Chissà se mia nonna si vestiva così negli anni '50.. era giovane, forse anche più di me. Forse andava persino a ballare! Peccato non poterglielo più chiedere.
Un'altra risposta che non ci sarà.

Mia nonna mi raccontava sempre una storia quando ero piccola.
E' la storia dell'uomo più fortunato e più sfortunato del mondo.
Quest'uomo era innamorato di due donne bellissime. E a sua volta era amato da entrambe. Per questo era l'uomo più fortunato al mondo.
Una gli diceva: "sei la mia vita", l'altra gli diceva: "sei tutto per me". La prima voleva invecchiare e morire accanto a lui, la seconda voleva passare il resto dei suoi giorni insieme a lui. E lui le amava entrambe, stava bene con entrambe ed era felice. Ma era anche infelice perché sapeva che non poteva passare la vita con tutte e due, prima o poi avrebbe dovuto scegliere. E scegliere significava perdere una delle due. Come poteva scegliere tra due felicità? Sapeva che perderne una lo avrebbe reso infelice. Per questo era l'uomo più sfortunato al mondo. Non voleva decidere, non voleva scegliere. Come poteva fare la scelta giusta? E se scegliere una delle due lo avesse portato a rimpiangere l'altra per il resto della vita? L'uomo più fortunato e più sfortunato del mondo si interrogava spesso sul da farsi. Si interrogava e si disperava. Per mesi cercò una soluzione. Ideò e costruì una macchina che gli permettesse di fondere le due donne insieme, ma quando la provò su due topolini ottenne un topolino con due teste. Così distrusse la macchina e barattò alcuni pezzi di essa con una gigantesca forma di grana. Una sorta di indennizzo per il topolino. L'uomo più fortunato e più sfortunato era sempre più inquieto. Pensava e ripensava.
Si incontrava con una delle due amate e pensava che fosse lei quella giusta. Poi si incontrava con l'altra e si convinceva che fosse lei la donna della sua vita. Andò avanti così per mesi ed ogni giorno era più felice e più infelice. Pensò ad un modo per sdoppiarsi. Un modo per prevedere il futuro. Un modo per ibernare una delle due e ringiovanire se stesso. Pensò persino al suicidio. Non voleva scegliere, non voleva! Lui voleva entrambe. Voleva essere colmo di felicità nelle braccia dell'una e scoppiare di gioia baciando l'altra. Poi un giorno si soffermò sulla possibilità che una delle due scegliesse al suo posto. Se una delle due lo avesse lasciato lui avrebbe trovato la soluzione ma non avrebbe comunque risolto il problema! avrebbe continuato a tormentarsi, a chiedersi se la donna rimasta al suo fianco fosse quella giusta o se invece sarebbe stato più felice insieme all'altra.
L'uomo più fortunato e più sfortunato del mondo era, in effetti, anche il più tormentato.
Una mattina si alzò, si vestì, mise il topolino con due teste in una tasca, uscì di casa e sparì. Senza dire niente, senza salutare, senza chiudere il gas.

lunedì 23 aprile 2012

Brillanti idee e altre disgrazie

Oggi mi è venuta un'altra brillante idea.
Ogni volta che mi viene una brillante idea sento che mi sto avvicinando a capire quello che voglio fare nella vita. Certo, potrebbe anche sembrare il contrario. Qualcuno potrebbe pensare che è un modo per prendere tempo, per lasciare altre cose in sospeso e fuggire le responsabilità. E' vero, spesso non porto a termine le cose! Ed è vero anche che "spesso" è un eufemismo. Il fatto è che quando mi viene una brillante idea, talmente brillante da sembrare quella giusta, mi è impossibile continuare a fare quello che stavo facendo.
Le brillanti idee opacizzano tutte le altre. Quindi non è che non porto a termine le cose, più che altro lascio in sospeso quelle destinate al fallimento. Sono molto lungimirante!
(Nel frattempo la mia coscienza si sta rivoltando nella tomba ma cercherò di ignorarla)

Ora che ho avuto questa nuova brillante idea devo focalizzare l'obiettivo e devo agire per raggiungerlo. Ci vuole costanza e determinazione. Ci vuole supporto e incoraggiamento. Fiducia in sé stessi e autostima. Tutte cose che possiedo! (la mia coscienza scuote la testa con disappunto, maledetta moribonda..)
Devo concentrarmi solo su questa idea e spronarmi. Posso motivarmi da sola, basta pensare al sergente Hartman e usando il suo tono dirmi: <Non ti distrarre. Ricorda cosa dice il tuo ragazzo sull'attenzione. Anzi, forse per un pò è meglio se non ci pensi. Convinciti che sia l'idea che aspettavi. La brillante idea con B maiuscola. Non farti venire altre idee per almeno 10 giorni. Fai finta che 10 giorni siano sufficienti. Agisci. Molla la tastiera e vai subito a realizzare la tua fottutissima idea!>
Sembro il peluche della sorellina del sergente maggiore Hartman ma non importa.

Questa è la mia idea. Ce ne sono tante come lei, ma questa è la mia.

mercoledì 18 aprile 2012

Rapporti compromessi

Quando cenare da sola con i tuoi genitori ti fa venire l'ansia c'è qualcosa che non va.
E pensare che il nostro rapporto era iniziato così bene. Loro erano affettuosi e giovani, io entusiasta e paffuta. Se piangevo era perché avevo fame. Se pretendevano qualcosa da me, al massimo era un sorriso o che battessi le manine. Quand'è che è cambiato tutto?
Proprio non riesco a ricordare.
Fatto sta che ora a me viene l'ansia a stare tutta sola con loro. Mi sento un nodo in gola, respiro corto e non faccio che pensare: "Parla di qualcosa. Parla di qualcosa ma sta attenta.. No ora meglio di no.. Ecco adesso, parla di qualcosa! Ma di cosa??? Proprio oggi che non mi è successo niente, nessuno ha telefonato, non è arrivata posta e al telegiornale non parlano di pazzi assassini." E così finiamo di cenare e l'unica cosa che sono riuscita a dire è stato: "fresca quest'acqua!"
Poteva andare peggio. Potevano chiedermi qualcosa loro. E' il pensiero che questo possa accadere che mi fa venire l'ansia. Ma stasera non è successo. Non mi hanno puntato la lampada addosso, non hanno giocato al poliziotto cattivo e al poliziotto sadico. Stasera niente lamentele da genitori, niente pressioni, niente pretese, niente domande.
Eppure io c'ho ancora l'ansia.

Che si può fare quando un rapporto è compromesso come in questo caso, tra me e i miei genitori?
Non posso mica divorziare da loro. Non siamo nemmeno sposati. Nè tanto meno possiamo ripartire da zero: non credo che mia madre sarebbe capace di ripartorirmi ora che peso quasi 50 chili. Non che siano molti 50 chili, forse con un piccolo sforzo.. No. Essere ripartoriti è una pessima idea. Forse dovrei andarmene di casa. Sarebbe tutto diverso se non abitassi con loro. Ma è poi così vero? Io starei meglio di certo. Ma non credo che sparirebbero le incomprensioni o che il nostro esiguo dialogo ne gioverebbe.
Forse dovrei sbroccare. Dire tutto. Urlare. Confessare e supplicare.

Molti anni fa, avrò avuto 13 o 14 anni, eravamo in vacanza in Trentino con degli amici. Un pomeriggio ho preso il cane di questi amici, ho avvertito che uscivo e l'ho portato a fare una passeggiata. Era una fresca giornata d'agosto e lui era un bel cane, anziano e molto buono. Si chiamava Bobo. Anni dopo è morto di vecchiaia nel suo appartamento romano, in una giornata piuttosto afosa. Quando gli è passata davanti agli occhi tutta la vita, ha rivisto principalmente quella giornata. Lo so perché la rivedrò anch'io.
La nostra giornata perfetta. Io e un cane che non è nemmeno mio. Dal piccolo paesino in cui stavamo siamo arrivati al paese vicino. Tre chilometri e mezzo ad andare ed altrettanti a tornare. Ai bordi di una strada che passa tra campi e alberi di mele, tante mele e con le macchine che ti passano accanto e ti sfiorano, poche macchine. Non c'era un motivo. Non pensavo a niente. Il cane tirava, era felice di camminare, di accompagnarmi e di sentirsi libero. Ed io uguale. Respiravo l'aria, sentivo il sole, guardavo il paesaggio. Non ce ne siamo nemmeno accorti di aver camminato tanto. O che si facesse buio. Quando sono tornata a casa ero stanca e felice. E Bobo lo stesso. A quanto pare erano tutti preoccupati per noi e ci stavano cercando da ore. Fui rimproverata e ricevetti anche una punizione, ma non ricordo affatto quale fosse.
Ero così felice.

lunedì 16 aprile 2012

Pessima memoria e perdite di tempo

Ho una pessima memoria.
Ma solo per quel che riguarda nomi, date, formule matematiche.
Forse è solo una giustificazione alla mia ignoranza.
In realtà non mi reputo tanto ignorante.
Voi sapete il giorno e l'anno della presa della Bastiglia?
Era il 14 luglio del 1789.
Non che io lo sapessi. Sono appena andata su google! Basta cercare su internet per non sembrare ignoranti. Così chiunque può farsi una cultura e sembrare perfino intelligente.
E poi la mia è più che altro distrazione. Il mio ragazzo dice che ho l'attenzione di.. di..  com'è che dice sempre: Hai l'attenzione di.. diiii....
Non me lo ricordo, non devo essere stata attenta! Eppure lo dice spesso.
Mi distraggo.
Credo sia per questo che a volte non ricordo le cose. Spesso anche se una cosa la so o potrei saperla, perché l'ho studiata o letta, non perdo tempo a pensarci e così finisce che dico la prima cosa vagamente affine che mi viene in mente. Praticamente mi butto nel tentativo di indovinare. Ma non lo faccio per ignoranza. E' come se non volessi perdere tempo. Ecco, questo detto da me può sembrare davvero strano. Finora di tempo ne ho perso talmente tanto! Anche questo blog può sembrare una perdita di tempo. Invece di capire cosa voglio fare nella vita, mi metto a scrivere qui. E comunque, anche se sapessi cosa voglio fare, qualsiasi cosa sia, non credo di esserne capace.

Invece di perdere tempo mi piace fantasticare. Che può sembrare una perdita di tempo. Ma non lo è.
Qualche settimana fa un mio caro amico mi ha confessato di essere felice solo quando è al cinema. Io sono felice quando mi metto a fantasticare. Ma è difficile da spiegare. Se il mio ragazzo mi chiede cosa ho fatto tutto il giorno e io gli rispondo "Ho fantasticato", lui pensa che sono stata a perdere tempo. Mentre in realtà ho pensato a come dipingere i muri di una nostra ipotetica futura casa. In cucina farei due pareti contigue in verde acido mentre le altre due pareti le lascerei bianche. In salotto dipingerei, allo stesso modo, due pareti color ottanio (che è simile al colore carta da zucchero ma un pò più scuro) e due sempre bianche. Una parete del salotto rimasta bianca la decorerei con un bell'adesivo, sempre di colore ottanio. L'adesivo potrebbe raffigurare un albero che arriva fino al soffitto, coi sui rami, foglie e uccellini.  In camera nostra, invece, dipingerei solo la parete dietro al letto, di un bel verde giada. E' il bagno che mi crea sempre qualche problema: meglio le piastrelle oppure no? Ma in caso, piastrelle tinta unita o con disegni? E poi vogliamo pensare anche alle tende? Non ha importanza l'esposizione della casa, da che mondo è mondo le tende arredano.

Non avevo mai usato l'espressione da che mondo è mondo! Lo so che non c'entra niente, ho già detto che mi distraggo? Un'altra cosa che non c'entra, e che non ho ancora capito, è perché quando si accede al blog viene visualizzato l'ultimo post scritto invece del primo. Immagino succeda in tutti i blog.
Però è strano, è come vedere un film iniziato da 10 minuti.
Se c'è una cosa che mi infastidisce è vedere un film iniziato, anche se da pochi minuti e anche se è un film che ho già visto! Non smetto di chiedermi: ma com'è che iniziava? Che sarà successo fino adesso? I minuti che ho perso saranno decisivi per comprendere il film appieno? E mentre mi scervello per ricordare l'inizio o cerco di immaginarlo perdo altri minuti e altre scene del film. Di sicuro non entrerei mai al cinema a spettacolo iniziato.
Ma il mio amico, quello che è felice solo al cinema? Lui che farebbe? Entrerebbe ugualmente col rischio di non capire il film?
Probabilmente a lui non importerebbe capire il film.

sabato 14 aprile 2012

Un blog è come una pianta

Un blog è come una pianta. Ci devi parlare per farlo crescere.
Quindi eccomi a parlare col mio blog. Che poi è un pò come parlare da sola.
Pare che faccia bene anche alle persone parlare da sole. Conosco un tale che a forza di parlare da solo è cresciuto di ben 16 centimetri. Poi ha smesso, altrimenti avrebbe faticato a passare attraverso le porte. Sua moglie glielo ha rimproverato per anni. Non sopportava l'idea di non essere la confidente del marito. Lui per 9 anni aveva parlato con se stesso e lei la riteneva un'offesa, una mancanza di fiducia e di rispetto nei suoi confronti. Quel tale ha cercato più volte di giustificarsi, senza però ottenere risultati. Il suo matrimonio era ormai in crisi. Per un periodo è tornato ad abitare dalla madre. Ha cambiato lavoro e ha iniziato a giocare a pallacanestro. Alla fine la moglie lo ha perdonato, ma solo dopo averlo tradito con un altoparlante impiegato in un centro commerciale. Per quanto ne so, da allora stanno ancora insieme. E lui non parla più da solo. Nemmeno quando è solo.

Ieri è arrivata una lettera per me. Mi piacciono le lettere cartacee, le puoi odorare e toccare e io adoro toccare e annusare la carta. I libri e le riviste sono i miei preferiti. Sanno di buono. Vado in libreria e passo la mano sulle copertine dei libri. Ne apro uno e lo annuso. Chiudo gli occhi e immagino una storia. A volte non c'è bisogno di leggerli per sapere di cosa parlano.
Un pò come la lettera di ieri. Bastava sentire la carta per capire che non sapeva di buono. Era lì a ricordarmi che ora sono iscritta all'albo e che quindi dovrei fare il medico. Dovrei. La lettera è ancora qui, chiusa. Fino a quando non la apro non ha potere su di me.
(Qui ci starebbe bene il rumore di una risata malvagia, da strega. Una sorta di mhuuuuahahahah o buahahahahaha. Ho visto che in questo blog si possono anche inserire foto e video ma ancora non ne sono capace. Cercherò di imparare! Per ora immaginatevi una scena del genere: una telecamera che inquadra il cielo attraverso i vetri di una finestra. Il cielo è cupo ed è quasi notte. Sta piovendo, rumore di pioggia. Si vede un fulmine, poi il rumore del tuono. La telecamera inizia a scendere piano e va ad inquadrare l'interno della casa. Sotto la finestra c'è una scrivania in legno di ciliegio, molto ordinata, con i suoi portapenne, il tagliacarte i fogli bianchi.. e lì in mezzo, sopra una cartellina di pelle nera, una lettera ancora chiusa. Inizia lo zoom sulla lettera, accompagnato da una tipica musica di tensione: la musica che fa un violinista pizzicando ritmicamente le corde del suo strumento con l'archetto. Continua lo zoom fino a quando non si legge il mittente della missiva: l'ordine dei medici-chirurghi. Ed è proprio in questo momento che si sente la risata malvaglia e fragorosa di cui parlavamo prima!)
Una lunga parentesi per spiegare lo stato d'animo legato alla lettera che sta sulla mia scrivania per niente ordinata e minimal. Finché è chiusa poco male. Non posso aprirla ora. E' sabato e ho finito il rossetto.

venerdì 13 aprile 2012

Tra un mese avrò 32 anni

Tra un mese avrò 32 anni.
Un mese esatto.
32 anni esatti.
E non ho ancora fatto niente nella vita! Per lo meno niente di cui mia madre possa essere orgogliosa.
In realtà, a dirla tutta, una cosa che ha reso orgogliosi i miei c'è stata: mi sono laureata in medicina.
Quello è stato il giorno più bello della loro vita. Della loro. Della mia no.. uno dei giorni migliori della mia vita è stato quando ho scoperto l'esistenza del gelato. Vogliamo paragonare il gelato ad una laurea?
Ho provato a leccare quel pezzo di carta e vi assicuro che non ha un buon sapore. Sa di sudore e lacrime, pessima accoppiata.
Mentre il gelato.. aaaah.. Mangerei quintali di gelato! Uno dei miei sogni segreti è fare il bagno nel gelato. Il bagno nella vasca di casa, intendo. Una bella vasca piena di gelato a tutti i gusti, in particolare limone cioccolato e fragola. Bello fresco sulla pelle, profumato.. potrei mangiarne a volontà, poi andare in immersione, sotto gelato. Io so nuotare, quindi non dovrei avere problemi. Non è nemmeno un sogno così irrealizzabile. Già farlo nella doccia sarebbe più difficile, per non parlare del bagno al mare. Quello è alquanto improbabile, a meno che una nave trasportante gusti alla frutta non si scontri con una trasportante gusti alle creme. In quel caso potrei fare il bagno in un vero mare di gelato, ma dovrei trovarmi nei pressi del disastro. E comunque sarebbe salato e saprebbe di pesce. Non credo mi piaccia il gelato al gusto scampi.

Tornando a me, ho quasi 32 anni e non ho un lavoro, non ho una casa, non sono sposata, non ho figli, non so cosa fare nella vita. Troppe scelte, troppe alternative, troppa pigrizia. Il problema è che sono tanto indecisa e troppo insicura. Ne sono sicura. E' così da sempre, almeno credo.
Ma arriva il momento nella vita di una donna in cui si deve crescere, si deve scegliere, si deve capire. Questo mi dicevo stamattina. "Devi decidere. Devi capire cosa vuoi. Devi fare qualcosa. Non puoi rimanere lì a fantasticare tutto il giorno. Tu e le tue stupide idee..
Devi alzarti e correre. Il mondo sta correndo senza di te! Il tempo sta correndo! E anche se dimostri 10 anni di meno tra un mese avrai 32 anni. Sei un'adulta cazzo! un'adulta laureata in medicina, ma che non vuole fare il medico. Complimenti! Dieci anni buttati. Tanto valeva fare scienze della comunicazione, se non altro avresti imparato a comunicare con i tuoi genitori e adesso saprebbero che la medicina non ti piace e non fa per te."
Odio parlarmi da sola. Ma avevo ragione. Dovevo agire, dovevo fare qualcosa, prendere il mano la mia vita e iniziare a realizzare i miei sogni. Anche quello del gelato.
Vabbè, per quello del gelato magari posso aspettare agosto che oggi fa freddino..

Il mondo sta correndo senza di me, lo devo raggiungere. Devo sbattermi per trovare un lavoro che mi piaccia, devo impegnarmi per realizzare i miei obiettivi. Devo sudare e sputare sangue per essere felice, per sentirmi realizzata e vivere appieno la mia vita!
Ed è così che stamattina ho aperto un blog. Questo blog. E a dir la verità devo ancora capire come faccio ad accedere nuovamente al blog una volta che finisco di scrivere qui e chiudo il computer. Questo potrebbe essere l'unico post di questo blog sconosciuto e appena creato. Sono già stupita di essere riuscita ad arrivare fin qui. Non sono molto pratica di computer ma sono migliorata molto, sono già tre mesi che non mi lecco più l'indice per cambiare pagina.
Però che c'entra un blog con il crescere, decidere, diventare sicuri etc etc etc? In effetti non saprei. Ma forse non ha nemmeno importanza. Bisogna iniziare a camminare prima di correre.
Mi piacciono le frasi ad effetto messe a casaccio.

Ho lasciato degli spazi vuoti ogni tanto. Senza un vero perchè. Danno un pò di respiro. Magari è una cosa figa che fanno in tutti i blog e io inconsapevolmente la sto facendo. Se qualcuno ha il copyright sulle righe vuote me lo faccia sapere. Non so se lo leggerò mai, visto che come dicevo non so se riuscirò a capire come funziona un blog. Ma sono fiduciosa. C'è chi dice che posso fare tutto.
A quanto pare c'è gente che crede nelle mie capacità più di me stessa. Mi dispiace deludere questi ottimisti: non sono ancora mai riuscita a mettermi le lenti a contatto.
E' che non porto gli occhiali!